Da Il simbolismo della croce (René Guénon), Edizioni Studi Tradizionali, Torino 1964
Nell’introduzione de «L’uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta » presentavamo quell’opera come l’inizio di una serie di studi in cui avremmo potuto, secondo i casi, sia esporre direttamente certi aspetti delle dottrine metafisiche orientali, sia adattare queste stesse dottrine in modo da renderne la lettura piú profittevole e piú intelligibile, pur restando strettamente conformi al loro spirito. Riprendiamo ora questa serie di studi, che avevamo dovuto interrompere per dare la precedenza ad altri lavori; in questi, resi necessari da considerazioni di opportunità, abbiamo dovuto scendere maggiormente nell’ambito delle applicazioni contingenti, pur non perdendo mai di vista i principî metafisici che sono l’unico fondamento di ogni vero insegnamento tradizionale.
Ne «L’uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta» abbiamo fatto vedere come una dottrina tradizionale di ordine puramente metafisico, prenda in considerazione un essere quale l’uomo, e ciò rimanendo il piú strettamente possibile nei limiti di un’esposizione rigorosa e di un’esatta interpretazione della dottrina, da cui non ci siamo scostati se non per segnalare, quando se ne presentava l’occasione, la concordanza con altre forme tradizionali. In effetti, non è mai stata nostra intenzione limitarci ad una forma particolare, cosa d’altronde assai difficile per chi abbia preso coscienza dell’unità essenziale dissimulantesi nella diversità delle forme esteriori, che altro non sono se non apparenze mutevoli di una stessa verità. Se in generale, per ragioni che abbiamo spiegato altrove’, abbiamo adottato come punto di vista centrale quello delle dottrine indú, ciò non ci impedirà naturalmente di ricorrere, tutte le volte che ci sembrerà opportuno, ai modi d’espressione di altre tradizioni purché, beninteso, si tratti sempre di vere tradizioni, di quelle cioè che possiamo chiamare regolari od ortodosse, intendendo queste parole nel senso già da noi definito in altre occasioni, Qui faremo qualcosa del genere, ma piú liberamente che nell’opera precedente, perché non siamo vincolati all’esposizione di una branca di dottrina, quale si trova in una civiltà determinata, bensí dobbiamo dedicarci all’esposizione di un simbolo che, come tale, è di quelli che sono comuni a quasi tutte le tradizioni; cosa che noi è caratteristica di un collegamento diretto con la grande Tradizione primordiale.
A questo proposito, ci pare opportuno insistere su un punto particolarmente importante, a nostro parere, per dissipare certe confusioni che purtroppo, ai giorni nostri, son fin troppo frequenti: ci riferiamo alla differenza fondamentale tra «sintesi» e «sincretismo». Il sincretismo consiste nel mettere insieme, dal di fuori, elementi più o meno disparati che, visti sotto questo aspetto, non hanno possibilità alcuna di essere veramente unificati; si tratta, in definitiva, di una specie di eclettismo con tutto ciò che sempre vi è implicito di frammentario e di incoerente; cioè di qualcosa di puramente esteriore e superficiale i cui elementi, raccolti qua e là e riuniti in modo del tutto artificioso, non possono che avere il carattere delle cose raffazzonate, incapaci di integrarsi effettivamente in una dottrina degna di questo nome. La sintesi, al contrario, si effettua essenzialmente dall’interno: vogliamo dire che essa consiste appunto nel considerare le cose nell’unità del loro stesso principio, nel senso della derivazione e della dipendenza da questo principio, e pertanto nell’unirle, o meglio nel prendere coscienza della loro unione reale, che è tale in virtú di un legame del tutto interiore, inerente a ciò che di più profondo vi è nella loro natura. Per applicare queste cose al nostro argomento, possiamo dire che si avrà sincretismo ogni qualvolta si accozzeranno elementi presi da forme tradizionali diverse e si cercherà di saldarli in certo qual modo dall’esterno gli uni agli altri, ignorando che quelle forme non sono che espressioni diverse di un’unica dottrina, quindi altrettanti adattamenti di essa a condizioni mentali particolari in relazione a determinate circostanze di tempo e luogo. Da una congerie di questo genere, non può evidentemente provenire niente di valido; e invece di un insieme organizzato (per fare un paragone facilmente comprensibile), si avrà un informe ammasso di frammenti, inutilizzabili per la mancanza di quel qualcosa, che potrebbe dar loro un’unità analoga a quella di un essere vivente o di un edificio armonioso; è cioè caratteristica del sincretismo, proprio per la sua esteriorità, l’impossibilità di realizzare una simile unità. Per contro, si avrà sintesi se si partirà dall’unità stessa, senza mai perderla di vista attraverso la molteplicità delle sue manifestazioni, il che implica che al di fuori e al di là delle forme, si sia raggiunta la coscienza della verità principiale che di queste si riveste per esprimersi e comunicarsi nella misura del possibile. Da quel momento si potrà impiegare una qualunque di queste forme, a seconda che si avrà interesse a farlo, proprio come, per tradurre uno stesso pensiero, si potranno usare idiomi diversi per farsi intendere dagli interlocutori cui ci si rivolge: è questo, d’altronde, ciò che certe tradizioni definiscono come il « dono delle lingue ».
Si può dire che le concordanze fra le varie forme tradizionali rappresentano delle sinonimie reali: è a questo titolo che le prendiamo in considerazione e, come la spiegazione di certe cose può risultare più facile in una lingua che non in un’altra, cosí una di queste forme potrà convenire maggiormente all’esposizione di certe verità, nonché renderle di più facile comprensione. È dunque piú che legittimo servirsi di volta in volta della forma che appare piú appropriata per quel che ci si propone: nessun inconveniente a passare dall’una all’altra, a condizione che se ne conosca realmente l’equivalenza, il che è possibile soltanto partendo dal loro principio comune. Così non vi è sincretismo alcuno, anzi, essendo quest’ultimo un punto di vista del tutto profano, è incompatibile con la nozione stessa di « scienza sacra » cui questi studi si riferiscono esclusivamente.
Abbiamo detto che la croce è uno di quei simboli che, in forme diverse, si trovano pressoché ovunque fin dalle epoche più remote; essa è dunque ben lungi dall’essere esclusiva del Cristianesimo come taluno possono pensare. Il Cristianesimo stesso, in ogni caso, almeno nel suo aspetto esteriore piú conosciuto, sembra aver alquanto perso di vista il carattere simbolico della croce, per limitarsi a considerarla soltanto come segno tangibile di un avvenimento storico; in realtà, questi due modi di vedere non si escludono affatto, anzi il secondo non è, in certo qual modo, che una conseguenza del primo; ma ciò è talmente estraneo alla mentalità della maggior parte dei nostri contemporanei che, per evitare malintesi, è bene ci si soffermi un po’. In effetti, fin troppo spesso si è indotti a pensare che l’ammissione di un senso simbolico implichi l’esclusione del senso letterale o storico: un’opinione del genere non è che il frutto dell’ignoranza di quella legge di corrispondenza che è appunto il fondamento di ogni simbolismo, e in virtú della quale qualsiasi cosa, che come tale procede da un principio metafisico da cui la sua realtà unicamente dipende, traduce o esprime, a suo modo e secondo il suo ordine di esistenza, questo principio, sicché, da un ordine all’altro, tutte le cose si concatenano e si corrispondono per concorrere all’armonia universale e totale la quale, nella molteplicità della manifestazione, è come un riflesso della stessa unità principiale. È per questo che le leggi di una sfera inferiore possono sempre essere prese a simbolo di un ordine superiore, perché è in questo che esse hanno la loro ragione profonda che è al tempo stesso il loro principio e il loro fine; e a questo proposito, tanto piú che ne troveremo esempi anche qui, possiamo sottolineare quanto siano errate le moderne interpretazioni «naturaliste» delle antiche dottrine tradizionali, interpretazioni che non fanno che rovesciare, in modo puro e semplice, la gerarchia dei rapporti fra i vari ordini di realtà.
Cosí, i simboli e i miti non hanno mai avuto la funzione (come pretende una teoria fin troppo diffusa attualmente) di rappresentare il movimento degli astri; se si trovano figure ispirate a questo, e destinate ad esprimere analogicamente tutt’altra cosa, è perché le leggi di tali movimenti traducono fisicamente i principî metafisici da cui esse dipendono. Quello che diciamo dei fatti astronomici, è altrettanto valido per tutti i fenomeni naturali i quali, per il fatto stesso di derivare da principi superiori e trascendenti, sono veramente simboli di questi ultimi; il che evidentemente non può in nessun modo infirmare la realtà che questi fenomeni possiedono come tali, nell’ordine di esistenza che è loro proprio; al contrario, è proprio in ciò che risiede questa realtà, perché, al di fuori della loro dipendenza dai principî, queste cose non esisterebbero nemmeno. Quel che si è detto, vale per i fatti storici come per tutto il resto; anch’essi devono necessariamente conformarsi alla suddetta legge di corrispondenza, e appunto per questo traducono, al loro livello, le realtà superiori di cui, in certo qual modo, non sono che l’espressione umana; ed è questo, aggiungiamo, a determinarne tutto l’interesse dal nostro punto di vista che, va da sé, è completamente diverso da quello degli storici «profani»
Questo carattere simbolico, benché comune a qualsiasi fatto storico, dev’essere particolarmente netto per quel che si riferisce alla cosiddetta «storia sacra», ed è per ciò che lo si ritrova con impressionante evidenza in tutte le circostanze della vita del Cristo.
Se si sono ben comprese le nostre parole, si vedrà immediatamente che non solo non c’è nessuna ragione per negare la realtà di questi avvenimenti o per interpretarli come puri e semplici miti, ma, al contrario, tali avvenimenti non potevano essere diversi da quelli che sono effettivamente stati; come si potrebbe, altrimenti, attribuire un carattere sacro a cose sprovviste di qualsiasi significato trascendente? Nella fattispecie, se il Cristo è morto sulla croce, è proprio, si può ben dirlo, per il valore simbolico che la croce ha in se stessa, e che le è sempre stato riconosciuto in tutte le tradizioni; ed è perciò che, senza volerne sminuire il significato storico, si può considerarla come una semplice derivazione da questo stesso valore simbolico.
Un’altra conseguenza della legge di corrispondenza, è la pluralità dei sensi inclusi in ogni simbolo: una cosa qualsiasi, in effetti, può essere considerata come rappresentativa non solo dei principî metafisici, ma bensi delle realtà di tutti gli ordini superiori al suo, anche se ancora contingenti, in quanto queste realtà, da cui parimenti tale cosa dipende in modo più o meno diretto, fungono rispetto ad essa da «cause seconde»; e l’effetto può sempre esser preso a simbolo della causa a qualsiasi livello, perché tutto ciò che lo fa essere non è che qualcosa di inerente alla natura di questa causa. Questi molteplici sensi simbolici gerarchicamente sovrapposti, son ben lungi dall’escludersi l’un l’altro, cosí come non escludono il senso letterale; anzi essi concordano perfettamente tra loro in quanto, in realtà, non fanno che esprimere le applicazioni di uno stesso principio a livelli diversi; e cosí si completano e si rafforzano a vicenda, integrandosi nell’armonia della sintesi totale. È questo d’altronde che fa del simbolismo un linguaggio meno strettamente limitato del linguaggio ordinario, questo che ne fa il mezzo piú adatto all’espressione e alla comunicazione di certe verità; ed è per ciò che esso offre possibilità di concezione veramente illimitate e costituisce il linguaggio iniziatico per eccellenza, veicolo indispensabile di ogni insegnamento tradizionale.
La croce dunque, come tutti i simboli, ha molteplici significati, che qui però non intendiamo sviluppare tutti allo stesso modo; ad alcuni, anzi, non faremo che accennare occasionalmente. Quello che ci interessa, in effetti, è il senso metafisico, il primo e il piú impor- tante di tutti perché è il vero e proprio senso principiale; tutto il resto non riguarda che applicazioni contingenti e più o meno secondarie; e se a qualcuna di tali applicazioni ci capiterà di accennare, sarà sempre e soltanto per riferirle all’ordine metafisico, perché è questo che, ai nostri occhi, le fa essere valevoli e legittime, conformi cioè a quel modo di concepire cosí profondamente dimenticato dal mondo moderno, che è quello delle «scienze tradizionali».